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Intervista
07/03/2008

1.Da dove ci rispondi?
1. Da una terrazza che dà sul mare della Versilia, dove vivo col mio gatto siamese Matisse.

2.Pensavo tu vivessi davvero in un palazzo abbandonato … è quella l’atmosfera che si respira nel disco e che si vede anche in alcune foto del cd …
2. Vuoi che sia malinconico-romantica? Il mio cuore era davvero molto simile a quei luoghi, in quel momento...

3.Sai, quando si acolta un disco, si tende ad immaginare che l’artista viva esattamente e fisicamente lo scenario delle sue canzoni … è la musica che fa presa sui sensi, anche se magari produce delle costruzioni immaginarie …
3. E invece in questo caso, sebbene si parli di luoghi emozionali, la tua immaginazione ha colto nel segno. Si può o meno riuscire a creare una stanza sonora che evoca un mondo, un immaginario figurativo ben preciso. Spero di essere riuscita ad evocarlo, questo spazio in cui accogliere: si fa musica per sentirsi più vicini agli altri, e portarli a vedere con i nostri occhi, come il personaggio interpretato da William Hurt in Fino alla fine del mondo. Quando poi ho pensato a dove ambientare il servizio fotografico (opera di mia sorella Maria Chiara) per l'artwork del disco, ho pensato subito a quei luoghi (che poi sono la sede di un istituto privato nel quale ho studiato): in me, come in quelle stanze, c'era un misto di malinconia per momenti felici andati ma anche qualche fantasma, che però più passa il tempo e meno mi spaventa. E' stato anche quello – come la registrazione del disco – un guardare in faccia il passato senza accanirsi per rivolerlo indietro né avvelenarne il ricordo con le delusioni del presente, bensì benedicendolo (non senza un velo d'ironia: ecco perché il vestito principesco e i guanti di gomma!) per ripartire. Senza principi azzurri, senza scarpine di cristallo. Solo guanti da lavoro e sguardo caparbio…
 

4.Curioso però come questo disco possa segnare quasi un ritorno per te … tu hai studiato in questo istituto religioso, quindi da lì sei partita …
4.  Sì, la Villa dei Borbone (ritratta nelle foto) è un posto familiare per me, essendo la sede del liceo dove io e i miei fratelli ci siamo diplomati. Negli ultimi dieci anni ci sono state molte partenze e ritorni, nella mia vita! Niente o quasi si abbandona mai del tutto, io sono molto nostalgica.

5.So che hai pubblicato anche negli Stati Uniti …
5. Sì, è successo tre anni fa.


6.Anche con risultati notevoli, come il dodicesimo posto nella classifica di Billboard …
6. Quando nel 1996 iniziai a lavorare ad un progetto di brani inediti, non immaginavo proprio quello che sarebbe successo! Il mio primo disco (per il quale usai il nome d'arte di Malina, rubato ad Ingeborg Bachmann), dal titolo GENTLY HARD, uscì nel 1999 con l'etichetta indipendente Cis Records, ed ebbe un'accoglienza calorosissima in centinaia di radio, nonché buone recensioni su  molte riviste. Delle 14 canzoni presenti (un pop melodico con echi di Natalie Merchant, Carole King e Noa...) furono remixate le due più marcatamente soul, Reach Out e By Your Side. Quest'ultimo brano piacque alla mitica etichetta newyorchese Tommy Boy (la stessa di Afrika Bambaataa e De La Soul!) che ne fece realizzare altre versioni... il brano, dopo massicci passaggi in radio (negli USA, in Francia e in Brasile), è stato anche inserito nella colonna sonora della sit-com Queer As Folks. Un aneddoto su GENTLY HARD: in quel disco c'è un solo di Stefano Bollani e un coro di Petra Magoni... erano entrambi miei amici e non si conoscevano... adesso sono marito e moglie!

7.Che esperienza è stata dal punto di vista artistico e umano? Che poi non bisognerebbe nemmeno distinguere perché i due lati sono per loro natura adiacenti …
7. La registrazione di quell'album (prodotto e arrangiato da Filippo Gaetani), lungo un arco di tempo di 2 anni e mezzo e con molte pause tra una sessione e l'altra, ha segnato tappe importanti per la mia crescita, sia umana che musicale. Ho acquisito una maggiore consapevolezza sul piano della composizione e quel che è più, dopo anni passati ad imitare con dedizione maniacale le mie cantanti preferite, ho piano piano (con un lavoro "a togliere", tipico degli scultori) trovato la mia voce. Che forse però è uscita davvero - sebbene sia un disco di standards con un solo inedito - soltanto con SMALL DAY TOMORROW, ancora più scarno, e interamente prodotto da me.
Quanto all’ebbrezza dell’avventura Americana di By Your Side, nel 2001, devo confessarti che l’ho vissuta «a distanza»: a più riprese dalla Tommy Boy mi chiamavano facendomi preparare valigia e passaporto, poi per diversi motivi saltavano sempre i programmi. Così quell’estate, invece di andare a New York, sono partita alla volta di Perugia, per seguire i seminari estivi del Berklee College of Music di Boston durante il festival di Umbriajazz… e lì ho trovato la mia America! Quella del jazz suonato col desiderio feroce di suonare. Ricordo ancora quando in un pub, dopo la fine dei concerti serali, mi sono ritrovata in jam session a cantare All Blues di Miles Davis con Ben Perowski alla batteria, James Genus al contrabbasso e Joshua Roseman (bellissimo, altro che Lenny Kravitz!) al trombone!

8.Hai conosciuto e lavorato con qualche altro artista?
8. In realtà i musicisti americani che conosco di persona li ho contattati o via email o nel backstage dei concerti… E sono per lo più quelli che gravitano intorno alla Knitting Factory di New York: da Eric Mingus, uno dei miei più cari amici, a Lian Amber, brava cantante e moglie di Dave Fuczynski, da Elliott Sharp al mitico chitarrista Hubert Sumlin. Con Eric è da un po’ che tramiamo di incidere qualcosa a due voci, chissà…

9.Com’è che hai scoperto Irene Kral?
9. Su di lei avevo letto anni fa un articolo di Luciano Federighi, e avevo ricollegato il suo nome a quello scritto accanto a qualche titolo di standard americani (alcuni titoli tra i più misconosciuti, a dire il vero) presenti nel Real Book, la bibbia del repertorio jazzistico, dopodiché ho cercato  e comprato i suoi dischi con Junior Mance e Buddy Collette. Ogni articolo o nota che la riguardava sottolineava il suo gusto nella scelta del repertorio e l’intensità che in ogni canzone da lei cantata caratterizzava le liriche. E mi ha commossa il fatto che se ne sia andata troppo presto…

10.Nel tuo approccio alla musica e al canto, ci sono rimandi anche a Joni Mitchell e Carmen McRae …  due signore che abitano ancora le stanze del tuo palazzo?
10. Impossibile sfrattarle!! Non credo si possa essere donna e cantautrice e non amare Joni, «donna di mente e di cuore» che ha saputo scrivere dell’amore e dei sogni (e di ogni sfumatura dei sentimenti che li attraversano) come nessun’altra. La sua Hejira è in assoluto la mia canzone preferita: perfetta e circolare, ma in equilibrio instabile, inizia con una fine e termina con un nuovo inizio, ha barlumi di illuminazione e dà conforto come poche altre cose. Per non parlare della Mitchell musicista, del suono che è riuscita a creare nei dischi con Pastorius… Lo stile declamatorio di Carmen McRae, eccelsa cantante di lyrics (nonché amica di Irene Kral), solenne e materna al tempo stesso, resta un punto di riferimento per chi come me sente nelle proprie corde la spinta a cercare e cantare canzoni che non ti lasciano come ti hanno trovato, ma che si imprimono a fondo («songs are like tattoos, in a way…», cantava Joni in Blue) e ti ricordano chi sei, chi sono gli altri, e come andare avanti: grazie a certe canzoni rammento che «l’amore è un pericolo che si ripete, ma col passare del tempo ho imparato ad accettare i cambiamenti meglio di quanto facevo…» (Joni Mitchell, Song For Sharon).

11.Ma ora dove vivi?
11. Anche dopo i contatti avuti con New York ho scelto di rimanere qui, forse proprio perché avevo già in mente di registrare SMALL DAY TOMORROW e volevo farlo con i miei musicisti di sempre, nello studio dove avevo registrato il disco precedente: “recorded in Tuscany”, com’era scritto orgogliosamente nel libretto!

12.La tua carriera quindi si sta sviluppando soprattutto in Italia?
12.…e soprattutto in Toscana, anche se le liner notes del disco sono in inglese perché credo sia un lavoro che può trovare altri mercati, come è già successo…

13.Te lo chiedo perché vedo che il disco è stato registrato con musicisti toscani …
13. …nonché amici di lunga data! Piero Frassi, Luca Giovacchini, Nino Pellegrini, Riccardo Jenna. E sempre toscani sono i musicisti con i quali sto lavorando a ben due progetti incentrati sempre più su brani inediti. Anche se vado sempre più spesso a Roma, dove abita mia sorella, e dove conosco musicisti che mi piacerebbe coinvolgere nei nuovi lavori.

14.Quindi è proprio un ritorno a casa?
14. Sembrerebbe di sì… ma io sono una che tiene il sacco a pelo in macchina perché non si sa mai dove ci porta la musica…

15.Le tue interpretazioni si concentrano molto sullo spirito della canzone … quanto devi di questo alle “signore” che dicevamo prima? E al blues credo, no?
15. Devo molto ad ogni cantante e musicista che mi abbia comunicato quanto sia importante essere presenti ad ogni nota che si sta suonando, senza distinzione di generi: da Janis Joplin a Kate Bush, da Elis Regina a Chet Baker… E se al soul (dal culto di Aretha fino al nu-jazz e al nu-soul di Erykah Badu e Rachelle Ferrell) devo la gioiosa fierezza che è patrimonio genetico di ogni “black queen”, e il perfezionamento della tecnica vocale che spazia in ogni timbrica e registro, è però al blues che devo il superamento della tentazione di farne sfoggio, a vantaggio di un’espressività più essenziale e incisiva. Perdonami se cito (storpiandolo) Cartesio, ma resto pur sempre una filosofa (!): «la principale finesse est de ne vouloir point du tout user de finesse…»

16.Il disco suona antico e moderno allo stesso tempo … penso a “The meaning of blues” con quei tocchi di chitarra che sembrano un grunge alleggerito …
16. Rispetto ma non condivido certi purismi, nemmeno quello di chi beve il caffè amaro e ti guarda storto se ci metti lo zucchero o il latte o la sambuca! Sopporto poco anche chi s’incorona supercreativo perché ha alle spalle poco studio, però. I generi musicali, secondo me, vanno studiati in maniera «pura» ma poi è inevitabile aprirsi alle contaminazioni. Il bebop fu a suo tempo una grande innovazione, ma continuare adesso a fare solo quello non mi interessa: ho un filmato di Ron Carter che suona una sorta di hip hop! Nel «mio» The Meaning Of The Blues ci sono una disperazione e uno straniamento vicini al nucleo della Smells Like Teen Spirit di Cobain versione Tori Amos, lenta e solo piano e voce, la conosci? Non a caso nel libretto la descrivo in toni drammatici parlando di una voce che sembra svenire come una bestia agonizzante, conechi di Jimmy Scott (entra spesso dopo il beat…).

17.Ho visto che di questo album ne ha parlato anche qualche quotidiano nazionale (per es. Avvenire) … è un bene, anche perché non ci sono molte voci femminili in Italia che percorrono questa direzione …
17. Non molte, ma sempre di più. La più eclatante è Amalia Grè, anche se io sento più vicine le poetiche – per quanto diverse tra loro – di Patrizia Laquidara, Petra Magoni e Nicky Nicolai.

18.Non credi che in questi ultimi anni ci sia stato un ritorno alla voce femminile in sé? … oltre ai fenomeni come Cassandra Wilson nel jazz e Norah Jones nel pop …
18. In effetti Cassandra e Norah vanno ben distinte, sebbene la Blue Note sia riuscita con quest’ultima in un’impresa che aveva iniziato con la prima, portando un disco di jazz (anche se quello di Norah Jones è country pop con produzione jazzistica) a vendite inusuali per questo genere.
Il fascino della voce femminile valorizzata da un accompagnamento acustico e raffinato, ma soprattutto la credibilità di una personalità artistica che riesce a definire una precisa poetica, hanno sempre fatto presa sui cuori più ricettivi e attenti. Il fatto che qualche major si sia accorta che può essere un filone remunerativo e abbia cominciato a promuovere diversi lavori che vi si inseriscono fa parlare di «ritorno». C’è da sperare che le personalità coinvolte in quest’ondata non finiscano per annegare nel mare delle logiche di mercato, per le quali «squadra che vince non si cambia» e dunque ad un disco di successo deve seguire un disco-clone. A Cassandra Wilson pare invece che lascino carta bianca, lei non deve preoccuparsi di vendite stratosferiche. Hai sentito l’ultimo di Diana Krall? Meno glamour, più blues, testi densi: sembra abbia maggiore autonomia di scelta, adesso. Comunque il mio modello di riferimento resta Cassandra Wilson, che da tempo esercita liberamente la sua vocazione – che è anche la mia! – di pescatrice di perle nascoste, andando a scovare brani la cui brillantezza aspetta solo di venir riportata a nuova luce. Anzi, ogni tanto mi fa arrabbiare perché mi brucia sul tempo: nell’ultimo disco ha rifatto due brani, Throw It Away e If Loving You Is Wrong, a cui facevo la posta da tempo per reinciderli dopo averli ripescati dall’oblio!

19.Questa chiamiamola propensione o attenzione può essere d’aiuto anche per voci come la tua?
19. Lo spero, a me basterebbe che in futuro potessi almeno scrollarmi di dosso l’onere della produzione in studio, che per SMALL DAY TOMORROW è stata tutta sulle mie spalle.

20.Hai in programma un tour?
20. Il tour lo stiamo programmando insieme io e i miei  musicisti, non avendo un manager! Quest’estate col mio quintetto suonerò in alcuni festival, e sto già contattando i jazz club per l’autunno.

21.Anche con canzoni tue?
21. Non ancora, per adesso: inciderò qualche provino già a partire da metà giugno, ma per il live bisognerà aspettare.

22.Un’ultima curiosità: che voci risuonano ora nel tuo palazzo? (intendo che cosa stai ascoltando, suonando, cantando …)
22. Uh, se mi fermo a parlare di cosa sto ascoltando non finisco più! Molte donne: ancora Irene Kral e poi Annette Peacock, Mary Margaret O’Hara, India.Arie, Karrin Allyson, Norma Winstone, Susan Tedeschi, Lisa Germano… ma ci sono anche voci maschili come Donny Hathaway, Joe Jackson e Jack Johnson.

23.Ce n’è qualcuna che senti arrivare dal futuro più prossimo? (intendo programmi futuri …)
23. Col mio quintet continuerò a flirtare col rock seguendo la forma del songbook, mentre per i due progetti di cui ti accennavo sto tornando alla compsizione e soprattutto alla stesura dei testi: per il lavoro con Giulio Stracciati, dominato dalle sonorità mediterranee di chitarra e buzuki, scriverò in italiano, mentre per il sound incentrato su pianoforte e clarinetto che sto mettendo a punto con Piero Frassi e Nico Gori resto legata all’inglese. Per me si tratta di due procedimenti compositivi – e di due piaceri – diversi: con l’inglese amo giocare con le rime, pensare già in metrica, compiacermi dei fonemi così musicali e malleabili… Quando scrivo in italiano, invece, amo avvicinare parole che richiamano immagini e sensazioni distanti, per poi scoprire che dal loro innesto il linguaggio germoglia, si riprende dall’usura, e ogni tanto può affacciarsi la poesia.

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Photo by Stefano Chiodini 
 
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